Piccola nota rafforzativa

Quando Grillo fece la sua apparizione sulla scena politica pensai “Allelulja” finalmente quel salutare spinta esterna al rinnovamento della mia sinistra. La gente – dicevo – si schiererà con il M5s e la sinistra sarà costretta a riformarsi. Anche perché, ormai stava divenendo impensabile una riforma che partisse dall’interno, il potere non si autoaccusa mai, semmai si autoassolve. E poi baffetto che fa autodafé e molla le banche e le fondazioni ce lo vedete? Ripeto Grillo dovrebbe lasciar cadere alcuni tabù e alcuni dogmi, e pubblicamente costruire un ponte verso quella sinistra fuori dal governo (piddini senza incarichi rilevanti perché in posizione apertamente critica da sempre vedi Pippo ma anche Barca, Tocci, SEL, ecc…). Perderà parte dell’elettorato (peggio di così?) ma darà una speranza a molti altri che oggi (per colpa di questi media devastanti) si sentono spaesati e sono privi di rappresentanza.

Adesso noi siamo tutti proiettati verso il congresso interno, sarebbe bello presentarsi quel giorno con un progetto nuovo (e questo è sicuro) ma anche con un chiaro ruolo di coagulante della politica sana, vera e popolare. Mostrare ai colleghi congressuali che l’unica strada percorribile è quella di Pippo porterà quel ribaltamento repentino  che in politica è sempre possibile. Bisogna confidare in una ritrovata saggezza di Beppe, nel mantenimento della moralità di certa sinistra e in un miglioramento della coscienza del popolo. Sembra un impresa ma anche no.

Caro Grillo, il paternalismo non aiuta

Nel 2010, durante la Woodstock 5 Stelle di Cesena, alla domanda se il movimento potesse esistere senza il suo leader ligure, Grillo rispose in questo modo: “Esiste già. Sono tutti dei Grillo. Sono tutti leader di se stessi. Se tu realizzi un tuo sogno, lo rendi reale, sei già un leader di te stesso”.

Dopo le recenti reazioni scomposte di Grillo agli ammutinamenti di alcuni esponenti parlamentari del M5s si evidenzia quello che è l’unico vero limite del movimento.
Il paternalismo di Grillo, seppur speso nell’interesse generale del movimento, nella difesa dei suoi principi fondativi, porta con se quel problema che in più occasione avevo segnalato.
Beppe ha un chiaro disegno politico, forse non supportato da abili strategie, ma pur sempre un onesto intento rivoluzionario. Nel costruire le sue convinzioni e la sua visione non ha però tenuto conto dell’evidente limite che sarebbe emerso nel momento in cui avrebbe dovuto tradurle nell’operato di 163 parlamentari autonomi e non gerarchizzati. Parlamentari che rappresentano 8 milioni e passa di voti dati per la maggior parte alla sola certezza del nuovo, informe ma comunque nuovo soggetto politico. Era impensabile che tutti quei deputati e senatori sposassero in pieno le idee e le convinzioni del fondatore. Avrebbero, in ragione di uno statuto sottoscritto, rispettare le scelte che quello statuto stesso legittimava. Come quella di non realizzare alleanze politiche. E in parte lo hanno fatto ma qui dobbiamo un paio di precisazioni.

Bersani non ha mai fatto un apertura politica seria al M5s,in politica se si scende a patti, sul tavolo della trattativa ci deve essere ciccia, tanta e buona. Ascoltatevi cosa la senatrice Sereni (vicepresidente PD, mica pizza e fichi) si è fatta sfuggire. Così almeno seppelliamo una volta per tutte questa leggenda del movimento che non accetta la “grande offerta” del PD.

E poi una ci sarebbe una nota da dedicare a tutti quelli che pontificavano su una presunta mancanza di autonomia dei parlamentari grillini, descritti come degli auricolati, rispondenti solamente agli ordini impartiti dai due guru del movimento. A questi salmodianti manichei indirizzo la semplice constatazione di quello che nei fatti reali avviene in parlamento e fuori tra le file del M5s (polemiche e confutazioni a go go) invitandoli, pertanto, a tener di conto l’asservimento dei parlamentari di tutti i partiti, di tutti i tempi, che sempre hanno votato nel vincolo di mandato (vedere mozione Giachetti come ultima manifestazione in merito) salvo rare e ridicole occasioni come nei famosi e fumosi casi di Scilipoti e Razzi.

Anche sulle recenti sparate di Grillo ci sarebbe qualcosina da dire. Scusate ma proprio non si riesce a vedere dove sia la terribile offesa che il comico ha portato al parlamento. Leggete qui quello che i media massimalisti si guardano bene dal riportare, ossia cosa dice Ferdinando Imposimato, presidente onorario aggiunto della Cortre Suprema di Cassazione.
Ripeto, il limite del movimento è stata questa volontà di essere al di fuori del parlamento il custode di uno spirito, di un insieme di principi. Spesso si è definito il garante, ma di chi? di che cosa? di quali regole? Quelle regole che per definizione e per natura l’uomo rapidamente disconosce, a volte anche per mero opportunismo. Ok mi si dirà che alla fin fine il m5s era un idea sbagliata poiché nascondeva un vizio troppo grande. E perché non è tutta la politica un coacervo di vizi? Semmai bisognava esser prudenti e interpretare il movimento unicamente come spinta ad un cambiamento, spinta che la politica, tutta doveva e non ha voluto, recepire.

Per finire vi esplicito il mio personale convincimento. Grillo farebbe bene a cambiare finalmente passo. Evitare complessi messaggi politici, nascosti dietro attacchi (legittimi) al parlamento, e polemiche avvelenate nei confronti di personaggi come Rodotà. Come fa il suo popolo a comprendere che il suo non era un attacco politico? Alle persone arriverà sempre un messaggio disorientante quello prodotto dai media principali, “Grillo attacca Rodotà”, quindi o Beppe argomenta bene le sue tesi (nel suo blog bisogna troppo leggere tra le righe sottotesti complessi) oppure va in televisione e incontra giornalisti e parti politiche. Ecco proprio su questo aspetto riserbo la mia massima amarezza. Se il M5s aprisse al rappresentanza parlamentare critica, se solo Grillo accettasse di incontrare pubblicamente Civati e Fabrizio Barca, ma anche un Giorgio Airaudo per intenderci, forse il popolo italiano potrebbe iniziare a vedere quella formula politica in grado di regalargli una prospettiva veramente nuova.

Dopo aver conquistato il patentino dei casti e puri adesso è arrivato il momento di restituire ai mittenti (Letta & Co) quello dei buoni inconcludenti. Passa anche attraverso il confronto reale e leale la possibilità di cambiare il paese, l’importante è scegliere gli interlocutori giusti.

L’AREA RODOTA’ (by Civati) dopo le elezioni amministrative.

L’area Rodotà, l’intergruppo parlamentare congegnato da Civati, si calcola base elettorale per Ipo…condria della sinistra reale diviso 5(stelle). Ok tralasciamo questa complessa formula per la cui spiegazione vi rimando allo studio attento dei testi pitagorici. L’area Rodotà è questa: Civati, il dissidente, + sparuto gruppo dei malpancisti PD (che brutti vocaboli conia la stampa) + SEL critica + M5s colloquianti.

Miscela politica lontana dal divenire realtà.  Civati e Rodotà, tra i pochi interlocutori possibili del M5s, sono stati recentemente tra i destinatari di alcune simpatiche invettive made in Grillo.

Dico simpatiche perché reputo comprensibili paura e rabbia che dimorano nei cuori e nelle menti dei pentastellati. Però dai Beppe, Rodotà ti ha mosso critiche in modo civile e al contrario delle tue lamentele  penso che sia meglio che lo abbia fatto proprio dopo le elezioni amministrative, prima sarebbe stato peggio no? Certo, è vero anche che per il m5s peggio di così queste elezioni non potevano andare. Unica consolazione è che neanche agli altri sia andata bene. Danzano sul ponte mentre il Titanic affonda.

Il risultato delle amministrative, a detta di molti  e dello stesso Civati, sembra essere positivo.

Nei fatti, indebolisce l’idea di grande coalizione grazie all’affermazione del PD nella sua accezione più critica. Per due motivi. Pensiamo alla provvisoria affermazione dell’ex senatore Marino, per fortuna  percepito come esponente critico del PD,  grazie al fatto di non aver votato la fiducia al governo Letta e alla sua dichiarazione di aver votato Rodotà in luogo di Napolitano. L’affermazione di un esponente in evidente contrasto con gli attuali vertici del partito definirebbe vincente la mozione critica del PD e incoraggerebbe il partito  a cambiare direzione al prossimo congresso. In sintesi potremmo appunto dire che, in ragione di questo risultato politico romano, si indebolisce il concetto di larghe intese .

A mio modo di vedere le cose e in virtù di quanto fin qui espresso, la débâcle grillina nasconderebbe una insidia, quella di depotenziare l’appeal politico delle tesi summenzionate, che assieme ad altre la mozione Civati già promette di introdurre al congresso.

Tanto per cominciare, si potrebbe obbiettare che molti dei sindaci piddini di prossima elezione rappresentano, eccezion fatta per Marino e pochi altri, la selezione del territorio dove però agivano uomini indicati dalle vecchie mozioni (vuoi Bersaniani piuttosto che Teodem o Franceschiniani). Mettiamo da parte le correnti in auge del regime vigente. Esaminiamo un dato significativo. Vi scongiuro,  seguitemi nel ragionamento e di esso coglietene la virtù migliore, ossia la schiettezza. Orbene,  cos’è che rende una mozione vincente ad un congresso di partito? Quella che afferma un principio piuttosto che un altro? Oppure quella che riporta al centro un nuovo modo di fare politica, un nuovo progetto di rilancio bla bla bla? Si certo, magari sono anche questi aspetti, soprattutto se funzionali al raggiungimento del vero fine politico, e cioè la mera e pura Affermazione , da spendere per indirizzare le scelte della società in una direzione e bla bla bla…. certo, ma anche per esercitare il potere ambito.  Ovviamente,  rifiutiamo questa misera concezione, ma in cuor nostro e con rassegnazione ne accettiamo da secoli i funesti effetti. Chiariamo ancora una volta che questa è solo una brutale osservazione. Rivendichiamo per noi una politica migliore,  che magari crei l’illusione di tutto questo potere in gioco, per soddisfare il  parterre congressuale,  ma che poi sappia rivelarsi molto più nobile.

Veniamo al punto. Alla luce di tutte le considerazioni appena fatte riproponiamo i quesiti precedenti:  cos’è che rende una mozione vincente ad un congresso di un partito? Quella che antepone le ambizioni a tutto il resto? E quali sono queste ambizioni? Le  personali affermazioni nel sistema di potere. E come si determina il raggiungimento di queste condizioni ? Attraverso il consenso. Consenso inteso come giudizio morale positivo? No, consenso numerico.  Ora vista la scarsa capacità di attrarre consenso in politica non conviene  essere alleati  di una forza inesperta (quindi controllabile) ma popolare tra gli elettori? Si certo, e se quella forza è il m5s (come lo era con certezza fino a domenica scorsa) non resta che appoggiare l’unica mozione che potrebbe consentire al PD questa connessione politica. E colui che rappresenterebbe  al congresso questa soluzione si chiama Civati. Se il m5s crolla ci saranno altre soluzioni. La politica è anche la continua ricerca delle formule per risolvere la contorta natura umana.