Come prima, più di prima

Il patto del Nazareno non è andato a buon fine, il patto preseguirà ad andare avanti perchè un presidente innocuo era solo una delle clausole tra i contraenti. Da lunedì, come prima, più di prima le regole della comunità italiota saranno scritte negli interessi pressochè esclusivi di quelli che hanno affossato tutto, economia, cultura, etica e valori.

Attratti dalla trattativa

Ripercorrendo l’evoluzione della vicenda “Quirinalesca” si giunge a rileggere il significato di alcune discutibili scelte di Napolitano legate proprio a quella fondamentale elezione. In particolar modo vi invito a riconsiderare il valore di queste due gesta alla luce delle innumerevoli considerazioni sin qui fatte nel presente blog.

Non mandare Bersani alle camere a cercarsi la fiducia per un maledetto ma possibile Governo. Si certo un governicolo con il quale avviare giusto una legislatura precaria, precarissima, tenuta in piedi principalmente dalla voglia di molti parlamentari di non perdere quel seggio parlamentare non guadagnato e quindi non riguadagnabile. Questi signori sono li presenti grazie alle liste bloccate, figlie del “porcellum”, e quindi politici ricattabili (dai soliti noti) in quanto privi di reali bacini elettorali. Poi sulle reali intenzioni “bersaniane” di allacciare o no con M5s ho sollevato dubbi in più occasioni come qui e qui
Anticipare al 18 aprile la votazione per il Quirinale inizialmente programmata a fine mese. Napolitano non avrebbe potuto ancora a lungo fronteggiare l’impasse, lo stallo e il rischio era quello che Grillo mangiasse la foglia e cedesse inaspettatamente a quelle finte aperture o che i tentativi della fronda del “governo del cambiamento” arrivasse in qualche modo a centrare l’obiettivo. Mai fosse!

Il governo evidentemente rientrava tra gli elementi di trattative presenti e future.

Una fesseria quella giustificazione!

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Di questi tempi su La Repubblica di fesserie ne circolano tante ma questa le batte tutte.
Paragonare l’Italia dell’immediato dopoguerra ancora sotto Statuto Albertino con quella di oggi dove vige una costituzione che, è vero, non vietando espressamente la rielezione del PdR sembrerebbe consentirla. In realtà ogni paese munito di costituzione democratica affida alla prassi consolidata la risoluzione delle questioni non prese in esame dall’assemblea costituente.
Pertanto prima ci dovremmo domandare come mai i padri della costituzione tralasciarono l’esame di questa anomala ipotesi (14 anni con lo stesso capo di stato? ma vogliamo scherzare?) e in secondo luogo dovremmo individuare la prassi. Ebbene rieleggere lo stesso Presidente della Repubblica non è nella prassi, neanche volendo richiamare, forzatamente, una situazione eccezionale oltretutto ante-costituzione come quella rievocata dall’autore dell’articolo appena messo in questione.

La prima elezione di Enrico De Nicola è, come ricorda l’articolo stesso, per il ruolo di Capo provvisorio dello Stato il cui mandato inizia il 28/6/1946 31/12/1947
La Costituzione della Repubblica Italiana è approvata dall’Assemblea Costituente il 22/12/1947 ed entra in vigore il 1/1/1948
La seconda elezione di De Nicola è come Presidente della Repubblica (a norma della prima disposizione transitoria della costituzione fondativa della Repubblica) e avviene il 1/1/1948 fino a fine mandato ossia l’11/5/1948

Romano Quirinale

In questi giorni ho evitato di ritornare sopra la nota vicenda dell’elezione a capo di stato del “distruttore di prove a suo carico”. Ma visto e considerato che qui i sassolini nelle scarpe se li stanno togliendo un po tutti e dovendo rispondere alla continua domanda “Ma perchè il m5s non ha votato Prodi?” Decido di produrmi in un evoluto doppio salto carpiato mortale e quindi di optare per un’interpretazione tutta mia, quel “dietrologo e complottista” che ben conoscete. Dunque sarà il caso di vederlo in chiave noir:

“ROMANO QUIRINALE” i Protagonisti: Romano, Massimo, Giorgio, Matteo, Beppe e con la partecipazione straordinaria di Sergio e Franco – special guest: Stefano

IL partito doveva eleggere un presidente disponibile all’antica pratica politica della somministrazione di salvacondotti per Massimo, molti altri e ovviamente anche per Silvio. Bisognava pertanto prendere tempo e soprattutto verificare la tenuta della soluzione architettata da Massimo all’indomani del voto elettorale. Oltretutto bisogna anche valutare il peso di un eventuale contributo da offrire/chiedere alla bisogna. Si butta quindi una candidatura utile solo a mandare un segnale di apertura a Silvio e a palesare le varie forze in campo, toh strani quei 90 voti a Sergio (mi viene in mente quel film capolavoro “tutti gli uomini del sindaho“).
Compiuta la farsa adesso c’è da sistemare Beppe e i suoi. Si cerca un candidato che in qualche modo può dare l’impressione di essere una proposta a Beppe. Romano probabilmente aveva fatto intendere una sua disponibilità e in effetti sembrava essere l’uomo giusto. Arriva la standing ovation dell’assemblea capranichense tutto ok? Manco per niente, quel plebiscito non avrebbe dovuto esserci, il fatto che ci sia stato racconta una semplice cosa ai potenziali interlocutori. Romano in questo giro è uomo di Massimo. Dentro quell’unanimità c’è il voto di Massimo e dei suoi.

Ora Beppe è nella condizione obbligatoria di rifiutare tutto ciò in cui ci sia dietro il favore di Massimo (pensate voi in caso di errore il suo popolo cosa avrebbe pensato). Beppe che a quel punto è totalmente persuaso che il nome giusto è Stefano, di fatto se quelli arrivano a proporre la trappola Romano pur di evitare che Stefano diventi capo dello stato beh allora è proprio su di lui che bisogna puntare per non compromettersi. Insomma Massimo riesce a far scappare via a gambe levate Beppe da un voto per Romano.

Quindi si va al voto con la seguente condizione un eventuale elezione di Romano dovrà avvenire senza i voti di Beppe magari qualche sprovveduto uomo di Beppe il voto a Romano glielo da (come avvenne quel giorno per Piero al senato, ricordate?) ma non è questo quello che conta, quello che conta è che a questo punto i voti di Massimo e del suo delfino Matteo (come già detto segnalatosi con un gustoso 90 per Sergio) diventano determinanti…ed è in questo quadro che avviene la chiamata alle armi del fido Matteo il quale giunge tempestivamente a Roma (in effetti quel pomeriggio giungevano dal partito innumerevoli voci di un suo apparentemente immotivato arrivo nella città eterna) a dirigere la sua squadra, ed è così che i suoi boys insieme a quelli di Massimo (tolto qualche obiettore di coscienza) diventano i sicari di Romano (tanto per cambiare) e inconsapevolmente, o no poco importa, del partito. Il partito che l’altro giorno votava aveva davanti a se questo problema, cercava un uomo “sicuro”, oggi quell’uomo è tornato e si chiama Giorgio

Negli scacchi non vale il “meglio tardi che mai”

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Ieri sera riflettendo su “La mossa del cavallo: Stefano Rodotà” dell’ottimo Francesco Nicodemo, ero giunto alla considerazione che vedeva il PD incastrato in una difficile circostanza, quella condizione in cui non gli sarà consentito andare un’altra volta fuori tempo massimo! Pertanto la mossa era si muovere il cavallo ma farlo prima che la regina arretrasse tradotto candidare Rodotà prima che la Gabanelli ufficializzasse una sua rinuncia. Il M5s costretto dalla sua demagogica disciplina a seguire pedissequamente la graduatoria così come uscita dalle proprie “quirinarie” in caso di rinuncia della Gabanelli (molto probabile) e di Strada (certa) avrebbe inevitabilmente candidato il già resosi disponibile Stefano Rodotà. Ribadisco bisognava anticipare la mossa e quindi IERISERA le news online avrebbero dovuto celebrare un Bersani che metteva la propria Tag sopra la prestigiosa candidatura del giurista targandola in codesto modo come scelta ufficiale del PD. A quel punto un’azione di sostegno della sua candidatura sarebbe stata tollerata e accettata dall’area antigrillina a largo del Nazareno, al contrario, subendola come imposta dal M5s sarebbe divenuta l’ennesima occasione di divisione interna al PD. So perfettamente che stiamo parlando del sesso degli angeli ma purtroppo sembra che la sinistra italiana sarà condannata a sviluppare scelte intorno a questo tipo di dinamiche, troppe correnti, troppe provenienze eterogenee. Ma per adesso lasciamo cadere il discorso sulle potenzialità mancate o non sviluppate dal più grande partito del centrosinistra italiano.

Una volta di più ci ha pensato Grillo a cambiare le carte in tavola con l’ennesima mossa spiazzante. Più veloce dell’intuito da nannola del buon Bersani, il comico genovese ha saputo anticipare l’anticipo, ha capito prima di tutti che lo scrutinio delle Quirinarie si traduceva con il nome Rodotà, ma al tempo stesso non ha lesinato nel dovuto sostegno alla Gabanelli.
Oltretutto se è vero che la notte porta consiglio buono, il mattina scatena tempeste anche migliori. La Gabanelli ancora non ha sciolto le sue riserve e anche Gino Strada si nasconde dietro un “decide il movimento”. Che sia tattica politica?
Ho sempre sostenuto che fare politica non significasse esclusivamente affrontare quelle carriere finalizzate ai posizionamenti personali nella scacchiera del potere politico e oggi quelle personalità sulla carta estranee alla “Politica con P maiuscola” dimostrano di poter dire la loro e di essere in grado di mettere sotto scacco (sempre rimanendo nella metafora degli scacchi) i “professionisti” di lungo corso..

Grillo per mesi è stato minuscolizzato come politico e maiuscolizzato come pazzo. Beh i preziosi analisti politici, opinionisti che ci “deliziavano” con i loro pamphlet antigrillini dovevano saperlo che da un pazzo prima o poi sarebbe arrivato uno scacco matto!